4 febbraio 2008
IL 6 FEBBRAIO DEL 1958 VENIVA DISTRUTTA UNA DELLE PIU' GRANDI SQUADRE INGLESI DI SEMPRE. ECCO LA STORIA DEI BUSBY BOYS
Monaco di Baviera,
16,04 del 6 febbraio 1958: un bimotore della British European Airways chiamato
«Lord Burleigh», ottiene il permesso di alzarsi in volo.
Comincia a rullare lentamente, infila la pista di decollo, porta il motore al massimo e inizia a muoversi.
Si alza, pur se a fatica, e quando è a non più di cinque metri dal suolo s'incendia e scoppia in volo: con ogni probabilità — scoprirà in seguito la Commissione d'inchiesta subito insediata dalle autorità tedesche — il carrello, non ancora completamente rientrato, ha urtato una macchia d'alberi e il velivolo è scoppiato trasformandosi in un'enorme torcia per i serbatoi colmi di benzina.
Il «Lord Burleigh» era pilotato dal capitano James Thain, un uomo che aveva al suo attivo moltissime ore di volo come ufficiale della Rovai Air Force durante la guerra, e proveniva da Belgrado: il velivolo era stato, infatti affittato dal Manchester United come «charter» per trasportare la squadra campione d'Inghilterra
a giocare con la Stella Rossa in Coppa dei Campioni. A bordo dell'aereo, quindi, con la squadra britannica c'erano giornalisti, tecnici, membri dello «staff» del club: la stessa gente, più o meno, che era nell'aereo del Torino che nove anni prima si era schiantato contro la collina di Superga.
Stella Rossa - Manchester United, la sera prima, si era conclusa con un ottimo 3-3 per i britannici che, infatti, si consideravano già praticamente qualificati.
Era, «quel» Manchester United, una squadra giovanissima e fatta tutta quanta praticamente in casa da quel grande scopritore di talenti che era Matt Busby.
«Quel» Manchester United, anzi, era tanto di Busby che i suoi componenti erano conosciuti dappertutto come i «Busby's Babes», i «ragazzi di Busby».
Ebbene, di quei ragazzi, ben otto (i terzini Roger Byrne e Geoff Bent; il mediani Edward Colman e Duncan Edwards; il centromediano Mark Jones; gli attaccanti William Whelam, irlandese, Tommy Taylor e David Pegg) persero la vita mentre tutti gli altri
(i portieri Harry Gregg e Raymond Wood; il terzino Billy Foulkes; il mediano Jackie Blanchflower, nordirlandese, gli attaccanti Bobby Charlton, John Burry, Ken Morgans, Dennis Viollet, Albert Scanlon) oltre allo stesso Busby, rimasero, in maniera più o meno grave, tutti quanti feriti. Tra gli altri che persero la vita nell'incidente
ci fu anche l'ex portiere della nazionale britannica che sconfisse l'Italia 4-0 a Torino, quel Frank Swift che i tifosi di allora ricordano sia per le sue parate sia per il maglione giallo canarino che indossava nelle partite più importanti e che, conclusa la carriera agonistica, divenne giornalista sportivo.
Il «crash» del bimotore della BEA fu terribile e tra i sopravvissuti c'è ancora chi lo ricorda come il peggior momento della propria vita.
Gregg — che stava giocando a carte — ricordò così, alcuni giorni dopo in ospedale, quel terribile istante: «Pensai che fosse arrivata la fine. Quando l'aereo esplose persi i sensi e quando tornai in me, nella carlinga sventrata e avvolta dalle fiamme, mi trovai letteralmente circondato di gente morta o di feriti ohe si lamentavano. Aprii incredulo gli occhi e la sola cosa che feci, senza volontà come un automa, fu di lasciare il mio posto e di scendere dall'aereo scivolando su un'ala di lì saltando a terra».
Tra le squadre che hanno fatto la storia del calcio moderno, il Manchester United voluto e costruito da Matt Busby. ha un suo posto di assoluta preminenza. Letteralmente plasmata dal suo ideatore, era una formazione tutta composta di giovanissimi che lo stesso Busby aveva pescato nelle giovanili oppure
si era assicurato per poche sterline da altre società.
E alla sua scuola tutti avevano migliorato in tecnica e gioco sino a divenire un undici in grado di farsi rispettare da chiunque, Real Madrid compreso. Billy Foulkes, uno dei superstiti, così ricorda quei tempi: «Se non ci fosse stata la tragedia di Monaco, la Coppa dei Campioni l'avremmo vinta noi. Il 3-3 di Belgrado, infatti, ci consentiva di non aver problemi nel match di ritorno. Poi ce la saremmo vista col Milan che però non temevamo. E quindi col Real: che era certamente alla nostra portata».
Il destino, però, aveva deciso diversamente e quella che era la squadra più forte di tutta l'Europa in quei tempi, si era praticamente sfasciata nel «crash» di Monaco.
Nominato Cavaliere dieci anni dopo la sciagura di Monaco, Matt Busby così ricordava la storia della «nascita» della sua squadra di allora: «In porta giocava Wood che comperammo dal Darlin-gton per seimila sterline e cui chiedevamo di fare solo ciò che sapeva. Come terzini c'erano Bill Foulkes, un marcantonio che venne da noi dal St. Helens e che faceva coppia con l'aristocratico Roger Byrne, uno che si muoveva in campo come Nureyev sul palcoscenico ma contro il quale anche gente come Finmey e Mortensen non si era mai divertita. Questa, invece era la linea dei mediani: Eddie Coiman, lo stilista, a destra; il forte Duncan Edwards a sinistra e iMark Jones, il comandante, al centro.
E, in seconda istanza, Jackie Blanchflower. In attacco, poi, c'erano Johnny Berry, che acquistammo dal Birmingham per 25000 sterline; Billy Whelan; Tommy Taylor, pagato 29999 sterline dal Burnley perché per noi il tetto delle 30000 sterline era insuperabile; Dennis Viollet e David Pegg».
E se questa era la «crema» di quel Manchester United, non è che il resto fosse molto diverso: gente come Bobby Charlton, Alex Dawson, Wilf McGuinness, Nobby Stiles, Nobby Lawton oppure Johnny Doherty, infatti, si presentava da sola!
A volere Busby al Manchester United era stato, alla fine del '44, Louis Rocca che divenne lo «scout» preferito dal nuovo tecnico che chiamò come suo secondo il gallese Jimmy Murphy.
E il duo Busby-Murphy, sin dai primi tempi, cominciò a lavorare in una sola direzione: quella che avrebbe portato alla creazione della grande squadra che scomparve quasi del tutto a Monaco.
E negli anni di management di Busby, il Manchester United ottenne alcuni risultati che ancor oggi sono dei primati come il 10-0 inflitto all'Anderlecht nel '56; i 64 punti nella stagione 1956-'57; i 103 gol segnati nel '57-'58 e nel '58-'59; i 32 di Viollet (1959-'60); i titoli assoluti del '52, '56, '57, '65, '67.
E a questi record, visto che è il più «Busby's Babe» di tutti, vanno aggiunti, sia i 198 gol segnati da Bobby Charlton in maglia rossa nel periodo '56-'73, sia le 106 presenze totalizzate nella nazionale britannica dallo stesso giocatore.
Distrutto a Monaco, il Manchester United, un po' come l'araba fenice, risorse poco a poco dalle sue ceneri: alla guida della squadra era rimasto lo stesso Busby e, man mano che i superstiti si riprendevano Sir Matt vi costruiva attorno un nuovo squadrone di cui Bobby Charlton era contemporaneamente guida e «star» ma nella quale gente come lo scozzese Dennis Law e l'irlandese George Best si integrava alla perfezione.
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