14 aprile 2007

RIBERY RICERCATO.... DAL MANCHESTER UNITED



Intervista rilasciata alla Stampa di Torino durante i Mondiali in Germania del 2006.


L'immagine conta ma non decide. Frank Ribery nato a Boulogne sur mer (nord francese vicino a Calais) come un certo Papin, talento di Francia con la faccia da Quasimodo, gioca titolare contro la Svizzera. I Bleus hanno passato giorni a scannarsi e a dividersi in clan per decidere chi doveva esordire in questo Mondiale e ieri è uscito lui, Scarface.

Ha una cicatrice che gli parte dalla tempia sinistra e arriva fino al mento e un'altra che gli attraversa la fronte, parallela alle sopracciglia. Per anni ci hanno letto sopra un'adolescenza burrascosa fatta di pugni in periferia e battaglie a cocci di vetro. Il padre, François, giura che è il segno indelebile di un incidente: «Era piccolo avrà avuto due anni, è stata una brutta caduta e non ne posso più di sentire che è l'eredità di un pestaggio. Franck è sempre stato un ragazzo tranquillo». Circola ogni genere di voce su quelle cicatrici, una resa dei conti o una macchina rubata e accartocciata con la sua faccia dentro, in realtà ci sono foto in cui è davvero troppo giovane per guidare (anche senza patente) e ha la guancia già rigata.

Oggi è l'immagine della Francia ed è troppo semplice dire che quelle incisioni non hanno contato nulla. Gli hanno segnato i lineamenti e la vita e non solo quelle, anche i denti sovrapposti, la statura ristretta, quello sguardo perso, tutto l'accrocchio di difetti fisici che gli ha appiccicato addosso il nome di Quasimodo. Glielo urlavano le curve di terza categoria, a Boulogne, lo prendevano in giro. Ribery piangeva, non faceva finta di niente e anche oggi sa bene di aver sentito e patito. Quei cori gli sono arrivati tutti, lo hanno reso sospettoso e taciturno, ma almeno «Quasimodo» è un nome che non lo spaventa più. Ora che è il nuovo genio di Francia, l'erede di Zidane, l'uomo che lascia in panchina David Trezeguet, può vedere quel nomignolo per quello che è: un soprannome.

Ne preferisce un altro, Scarface, glielo hanno dato in Turchia quando giocava per il Gala e viveva da star vicino allo stadio Ali Sami Yen. Un giorno gli hanno srotolato la locandina del film e al posto di Al Pacino c'era Franck Ribery, il ragazzo che non voleva imparare a leggere. A Istanbul lo adoravano, con quella faccia da delinquente avrebbe potuto persino giocare male, sembrava fatto per stare lì e invece è scappato perché l'idea di lui che faceva impazzire i turchi non gli somigliava per niente.

Non ama parlare, ha lasciato la scuola presto e ha spesso frequentato brutta gente, si è anche fatto rappresentare per anni da un amico camerunense con alcuni precedenti penali, John Bico il finto agente con cui nessuno voleva trattare. Quando ha deciso di scappare dalla Turchia ha fatto in proprio. Il Marsiglia lo voleva e il Fenerbahçe pure, Ribery si è impuntato ed è stato 90 giorni senza stipendio per sbloccare la situazione. Al Marsiglia è diventato indispensabile, è necessario anche alla nazionale aggrappata al passato. Il futuro si chiama Franck Ribery e sembra un gangster.

Ha giocato tre partite con la Francia, Domenech lo ha portato ai Mondiali sopraffatto dalla campagna mediatica per il piccoletto di Marsiglia. Zidane spingeva per la coppia Henry-Trezeguet, Henry chiedeva di giocare solo in avanti come fa nell'Arsenal, non si capisce se una delle due fazioni abbia davvero vinto. E' più probabile che anche Domenech abbia deciso che questo ragazzo di 23 anni che ne dimostra 40 fosse davvero indispensabile. Probabile che Zidane non glielo perdoni.

Il capitano è sinceramente ammirato da Ribery, non è tipo da non capire la classe e apprezza chi ha dovuto faticare di più per venire fuori. Ha adottato Quasimodo nello spogliatoio ma era convinto di fare da chioccia ancora un po'. Invece Ribery gioca subito e sta anche per cambiare squadra di nuovo. Dopo aver detto no al Manchester United è pronto a trasferirsi a Lione, la città dei 5 titoli consecutivi. La firma a giorni, al solito non conferma, come quando gli chiedono se davvero si è convertito all'Islam e si è ribattezzato Bilal. Risponde sempre: «La mia religione e il mio nome sono affari miei». Ha già due soprannomi di dominio pubblico, ci ha messo anni ad accettarli e ora che li apprezza persino non ha voglia di condividere altro.

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