9 febbraio 2008

UNA VITA DA RE, UNA MORTE DA CECCONI


"Dai,venite con me,il tempo di lasciare una cosetta a Tabocchini,il gioielliere,e siamo di ritorno.
Cecco,mi devi raccontare ancora cosa hai detto a Picchio,come hai fatto a fargli sbagliare il rigore"
Giorgio Fraticcioli, di professione profumiere, era allegro e divertito.
Davanti a lui c'erano i suoi migliori amici.
Amici importanti.
Due calciatori della Lazio che aveva vinto lo scudetto,due calciatori di quella squadra che avrebbe riscritto la storia del campionato italiano,dominato ormai dalla forza politica,monetaria e calcistica del nord,da Torino e da Milano.
Amici veri.
Come Pietro Ghedin, punto di forza di quella squadra.
E come Luciano Re Lecconi, il tedesco, biondo e anarchico, una forza della natura, un guascone a cui il calcio ha dato molto.
Ma che non ha mai perso quello spirito strafottente, di chi nella vita si è preso una rivincita, e ora pensa di poterlo usare per divertirsi alle spalle di un mondo, di una società pienamente e compiutamente immerse nella cappa lugubre,quasi funerea di quelli che passeranno alla storia come gli anni di piombo.
Sarà proprio quell' atmosfera a portargli via la vita,una fredda sera del 18 gennaio 1977
Luciano era nato il primo dicembre 1948 a Sant'Ilario di Nervino nel milanese.
Muove i primi passi calcistici, quelli importanti, nella Pro Patria, in serie C, squadra che lascerà dopo due anni in cui si mette in mostra. Non segnerà nessun gol, anzi,rimedierà ben sei espulsioni.
Ma lui è fatto così, ha un carattere forte, così come è forte fisicamente.
E lo dimostra in campo, mettendo al servizio della squadra le sue doti di corridore instancabile, il suo agonismo spesso sulle righe.
Non è cattivo, certo, ma è un duro.
E' una delle qualità più richieste dagli allenatori.
Ha quattro polmoni, calcisticamente parlando, ma difetta nei fondamentali; è anche un calciatore anarchico, incapace di rispettare le consegne, portato a strafare proprio per eccesso di generosità.
A scoprirlo calcisticamente è Carlo Regalia, che lo fa esordire nelle giovanili della Pro Patria.
Ma è Tommaso Maestrelli a forgiarne il carattere, a disciplinarne l'irruenza, dandogli una collocazione definitiva in campo.
Lo vuole a Foggia dapprima, alla Lazio in seguito.
Il calcio nel frattempo sta cambiando.
Il ciclone Ajax ha letteralmente spazzato via il calcio anacronistico degli anni sessanta, quello sparagnino del "palla avanti e pedalare", tanto caro agli allenatori italici.
Maestrelli, uomo intelligente, ha capito che conta prima il collettivo, poi tutto il resto.
E decide di portarsi dietro "Cecco", o anche "Netzer", come è soprannominato, dal nome del biondo e tecnico centrocampista tedesco; o anche Volkswagen,l'auto del lavoratore, l'auto del popolo, altro nomignolo che demarca, in maniera netta, la differenza tra lui è il centrocampista di qualità.
Non ha piedi eccelsi, Cecco, certo, ma nel calcio si vince anche e soprattutto con i portatori d'acqua.
Quelli instancabili come lui e Frustalupi, compagno di squadra e di centrocampo della Lazio che si và forgiando.
E lui ripaga la fiducia dell'allenatore trasformando il campo verde in una prateria, dove corre come un puledro selvaggio.
Non è più l'anarchico senza freni; sta diventando il motorino instancabile, ma attento anche in copertura.
La Lazio sfiora lo scudetto del 1973, che và al nord, come al solito.
Lo vince la Juventus, certo, ma la Lazio è là.
E' ormai pronta per la grande sfida, portare lo scudetto nella capitale, sulla sponda bianco celeste.
Luciano vede crescere attorno a se l'entusiasmo; Maestrelli forgia una squadra tecnicamente fortissima in ogni reparto, dalla difesa all'attacco, nel quale svetta il fisico possente di un altro giocatore carismatico, con un caratteraccio, ma molto simile a Cecco, per forza fisica e per entusiasmo: Giorgio "long John" Chinaglia.
E' una squadra compatta,solida ma soprattutto legatissima, la Lazio che si appresta, nel 1974, a sfidare la Juventus campione d'Italia.
Ad iniziare dai vertici societari.
E' la Lazio del presidente Umberto Lenzini, del dottor Ziaco e di Padre Lisandrini.
In porta c'è Felice Pulici, in difesa Petrelli, un ex della Roma;c'è l'inglese, Giuseppe Wilson, il libero moderno,che si ispira a Krol, l'uomo che illumina l'Ajax con i suoi lanci di 40 metri; c'è Oddi,un altro granatiere,con il fisico possente , che integra e completa Wilson, molto più elegante e raffinato; c'è Nanni e poi lui, Luciano, che ha scoperto la vocazione del regista e che diventerà il faro di quella squadra.
A completare il centrocampo c'è la lucida co-regia di Mario Frustalupi, che con Cecco lancia le punte veloci e forti , Garlaschelli e Giorgione Chinaglia.
E c'è anche un giovanissimo talento,mancino e imprevedibile, tecnicamente eccelso ma dal carattere ombroso,incostante; Vincenzino D'Amico.
L'uomo che comanda la squadra è ovviamente Tommaso Maestrelli, capace di mediare fra le forti personalità dei componenti , capace di consigliare, rimproverare e perdonare quella banda assolutamente irragionevole, che in allenamento si batte alla morte,che ne combina di tutti i colori, fuoricampo.
Un padre ,in effetti.
Capace di chiudere un occhio,anche due, di fronte a cose folli come i lanci con il paracadute, gli spari dalle camere d'albergo…….
Per Cecco è un anno magico.
Arriva la convocazione in nazionale,in un Jugoslavia-Italia amaro,finito con una sconfitta per 1 a 0.
Ma nel frattempo è avvenuto il miracolo.
La Lazio dei corazzieri ha vinto lo scudetto,facendo impazzire di gioia la Roma bianco celeste e di rabbia quella giallorosa.
Gli sfottò non si contano,Roma vive calcisticamente di questa rivalità,che se non ci fosse andrebbe inventata, tanti e tali sono i motti di spirito, di irriverente comicità nella quale svettano, maestri da sempre, i romani.
In un Olimpico parato a festa,impazzito di gioia, Cecco e gli altri sfilano sotto le curve, anche loro ebbri di gioia.
Cecco sembra toccare il cielo con le dita.
Si sposa, e sembra che debba darsi una calmata.
Ma,come dirà qualcuno, è figlio di un temporale,nella vita come sul campo.
E anche quella squadra è un tornado,nello stesso identico modo.
Fuori dal campo non si contano le bravate, le pazzie estreme di calciatori probabilmente immaturi,dal punto di vista umano.
Prendono la vita come un gioco,come se la domenica fosse un estensione della settimana; è il loro limite,certo, ma in un certo modo è anche la loro forza.
E' un gruppo che riesce a far spogliatoio,nonostante i caratteracci dei suoi componenti.
E a vigilare su tutto c'è sempre lui,il vero artefice dietro le quinte:Maestrelli.
La Lazio ci riprova l'anno successivo,e Cecco c'è ancora.
Ma non si ripete l'avventura trionfale dell'anno prima.
Quella Lazio arriva quarta,un ottimo risultato,tutto sommato.
Ma qualcosa si è incrinato;si ammala il grande condottiero,Maestrelli e la squadra è affidata a Lovati.
Al temine della stagione 1975,la squadra viene praticamente smantellata:partono Frustalupi,Nanni e Oddi; Chinaglia và a guadagnare più soldi e meno gloria nei Cosmos,negli States.
Lui resta.
Nella sua squadra i compagni di squadra sono cambiati,al posto di Giorgione ora deve lanciare il borgataro Giordano,un altro caratteraccio.
Ci sono tensioni,in quella squadra,manca il collante dello spogliatoio,manca la qualità; in compenso ci sono musi lunghi e a fine campionato si compie la parabola discendente, con una salvezza acciuffata per i capelli, dopo una drammatica differenza reti con l'Ascoli.
Per Cecco sta arrivando l'appuntamento con il destino,che lo spodesterà dal trono, rendendolo un uomo con "Una vita da Re e una morte da Cecconi"come argutamente scriverà un suo biografo,
commentando il libro dedicato a Cecco da Carlo D'Amicis, intitolato "Ho visto un re"
E si ritorna all'inizio,raccontando,per sommi capi,quello che accadde per gioco e per fatalità.
Non prima di aver detto una cosa.
Siamo nel cuore degli anni di piombo,e l'Italia è lacerata, assiste attonita e sgomenta ad una ondata di violenza che non ha precedenti se non all'indomani della fine della seconda guerra mondiale.
Il clima è plumbeo,metaforicamente parlando.
Si ha paura di uscire tardi la sera,i notiziari dei Gr e dei Tg sono una triste somma algebrica di morti ammazzati,tra le forze dell'ordine come tra i terroristi, tra i magistrati e i giornalisti.
L'atmosfera è così cupa che, alla paura delle p38 dei killer del terrore si assomma la paura, tra i commercianti, sia degli espropri che delle rapine.
Bruno Tabocchini non faceva eccezione.
Aveva subito delle rapine e viveva in una condizione di allerta continua,con i nervi tesi allo spasimo e il terrore come compagno giornaliero.
Quella sera vide entrare un tizio,con il bavero del cappotto alzato; aveva una mano sotto di esso.
"Questa è una rapina",disse.
Tabacchini afferrò la pistola e sparò, senza esitazioni.
Luciano cadde, senza un grido.
Quello che avvenne poi è materia da dietrologia, dalle accuse di aver sparato a bruciapelo rivolte al Tabocchini all'analisi spesso impietosa della personalità di Luciano, con espressioni irriguardose in alcuni giornali,come "Se l'è cercata", una delle meno odiose in un campionario di stupidaggini.
Luciano morì per vari motivi: a causa del clima sociale già descritto, per aver scelto la persona sbagliata e il momento sbagliato ( era tarda sera); per aver voluto burlare il prossimo, ancora una volta .
Solo che in questo caso il destino presentò un conto salato.
Nel corso del telegiornale della sera,quando venne data la notizia, il cronista sembrava quasi incredulo; come increduli erano i tifosi della Lazio, e non solo.
Sarà il suo amico Giorgione a portare,con altri, la sua bara, a testimonianza dell'affetto e del rispetto di cui godeva; ci saranno i due figli in tenera età con la giovane moglie, incapace di comprendere la tragedia.
Così come ci si interrogherà sui perché, sulle motivazioni, in una babele di argomentazioni da parte di tutti i media.
Argomentazioni che, in fin dei conti, avevano un'importanza relativa, nella misura in cui erano praticamente sconosciute.
Chi può dire cosa sia passato,in quegli attimi, nella mente di Luciano?
Una bravata?
Probabile, conoscendolo.
Quella persona nascosta nel cappotto, con il volto calato tra i baveri, a nascondere quella massa di capelli biondi, quel volto che a Roma tutti conoscevano, è l'unica cosa che possiamo cercare di immaginare, ricostruire visivamente.
Ed è forse anche quello che è più difficile da ricordare di lui.
Per lui bisogna ricordare la parte migliore, non la tragica beffa del destino.
Può diventare un monito, come in effetti divenne, tant' è vero che rimane,a tutt' oggi,un episodio fortunamente isolato.
Un'esistenza troncata a 29 anni è cosa praticamente inconcepibile da immaginare.
Così come appare difficile concepire il percorso di vita di un ragazzo cresciuto sui campetti di periferia, con una gran voglia di giocare al calcio, che divenne ricco e famoso, per poi vedersi riprendere in un attimo tutto ciò che aveva avuto, per macabro destino o per colpa.
In fin dei conti,non ha alcuna importanza.
Le fotografie conservate dai tifosi, con il centrocampista in bella evidenza, con i suoi capelli biondi e lo sguardo da tedesco, cosi ariano nei tratti ma così romano nel carattere e così guascone nel comportamento, sono l'immagine da conservare.
Tra i ricordi più belli, di quello scudetto fantastico.
Cancellando, per sempre, la fredda cronaca della sua morte.

TESTO TRATTO DA (PAGINE70).

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